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#12 UN CERCATORE D'ORO AL LIDO
08/09/2006
Benché Rêves de poussière testimoni la dura realtà dei cercatori d'oro del Burkina Faso, che rischiano la loro vita ogni giorno in pericolosi tunnel nella speranza di trovare la pepita che permetterà loro di diventare ricchi e tornarsene a casa, e benché il progetto fosse nato come un documentario, questo film è prima di tutto un’opera di finzione narrativa, un magnifico racconto portato alla luce da Laurent Salgues dalle viscere di un continente che appassiona.
Il pubblico delle Giornate degli Autori l’ha accolto all'unanimità come uno dei film più toccanti e poetici presenti al Lido.
Come ha sottolineato dopo la proiezione Makena Diop, attore principale del film, questo primo lungometraggio di Laurent Salgues rispetta "il ritmo della vita" tracciando una narrazione così ricca che la proiezione sarebbe potuta durare un'ora in più senza che il pubblico se ne rendesse conto.
In Rêves de poussière, Salgues privilegia con coraggio (perché non è sempre facile proporre ai produttori inquadrature di una simile durata) il potere delle immagini, al punto che esse diventano la materia prima della narrazione (come nel libro di immagini della ragazzina del film). Qui, la progressiva discesa dell'eroe in un inferno di polvere bianca è messa in risalto dal contrasto tra il suo portamento all'inizio del film e il modo con cui si trascina solitario, zoppicando, dopo la sua prima giornata di lavoro, in un paesaggio desolato che probabilmente non lascerà mai più. La condizione di schiavitù dei cercatori d'oro (che lavorano sempre per altri - famiglie o padroni) si manifesta attraverso l'immagine degli utensili utilizzati per frantumare la roccia mossi ritmicamente, rimandando ai remi delle navi che deportarono i loro antenati in altre terre. La convivenza degli africani con i loro fantasmi è evidente nelle scene in cui la macchina da presa si sofferma sui luoghi dove sono stati abbandonati parenti e bambini defunti.

Cosa l’ha spinta a scegliere l’Africa come sfondo per la sua opera prima?
Il Sud del mondo mi ha sempre affascinato, e così pure l’energia vitale delle popolazioni africane. Ho l’impressione in qualche modo che "mi riporti alla mia vecchia fattoria a Gorée", per usare le parole di Depardon. L’idea di ambientare un film ad Essakane mi è venuta dopo aver visitato quei luoghi e visto i pozzi in cui si calano i lavoratori; mi è sembrato che raccontare la loro storia fosse la cosa giusta da fare, una maniera per “risarcirli” parzialmente — questo film è frutto di una co-produzione con il Canada, e ironicamente Essakane, uno dei principali centri per i cercatori d’oro al mondo, appartiene ad una società canadese.
Siamo molto bravi a far credere agli Africani che loro abbiano bisogno di noi, quando in realtà siamo noi a sfruttare le loro risorse restituendo solo una piccola parte sotto forma di aiuti umanitari, il che ci fa sentire estremamente magnanimi.

Perché non un documentario?
Adoro le storie d’amore, e si dà il caso che l’Africa sia un luogo in cui la narrazione è una modalità di comunicazione fondamentale – e tra l’altro, Makena, l’attore, è anche un narratore. E poi credo che i documentari riescano a cogliere solo ciò che è visibile, evidente, mentre la fiction è in grado di andare oltre e più in profondità. In un certo senso, l’opera di narrativa utilizza le bugie per avvicinarsi maggiormente alla verità.

Bénédicte Prot (Cineuropa)


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