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#6 QUANDO LOS OLVIDADOS SI COMBINA CON JACQUES DEMY
06/09/2006
Il film di Faouzi Bensaïdi, ha destato grande interesse nei cinefili presenti al Festival del Film di Venezia (sezione giornate degli Autori). Diretto da un autore "totale" (che ha curato la sceneggiatura, l'interpretazione, e il montaggio) e che si fa notare anche per la sua erudizione: il suo film si presenta come une mosaico di generi (dal film di gangster a Bollywood) e, pur essendo ricco di riferimenti, risulta tuttavia uno dei più personali presenti quest’anno al Lido.
WWW, What a Wonderful World si svolge in due parti. La prima metà del film descrive con grande precisione la lotta per la sopravvivenza di diversi personaggi in una Casablanca a metà strada tra tradizione e modernità - il Marocco è allo stesso tempo un paese in via di sviluppo il cui sguardo si volge da più decenni all'Europa e scenario di grandi contrasti in cui si può essere poverissimi e contemporaneamente utilizzare un cellulare o navigare su internet. Con grande maestria, i virtuosismi del montaggio riflettono l’arte di arrangiarsi con cui i personaggi riescono quotidianamente a sopravvivere, sovrapponendo ai loro mestieri "normali" delle attività più o meno illegali. Vivono accalcati nella metropoli, si incrociano senza vedersi in gran solitudine, come la scarpa sparigliata che Kamel trova per strada, o come Kenza la donna-poliziotto che da sola dirige il traffico in mezzo a una rotonda.
Tuttavia nel corso del film, le connessioni si moltiplicano: a un certo punto Kenza non è più il centro di gravità di una coreografia di auto alla Jacques Tati ma diventa il tassello di un motivo simmetrico (con Kamel di fronte) e il racconto si trasforma in una commedia musicale e in una storia d’amore che ricorda quelle che si allacciano nel Rochefort di Jacques Demy. Pochi registi riescono a mescolare così giocosamente realismo e lirismo.

Cosa ti ha portato ad esercitare un tale controllo assoluto sul lavoro non solo di regia, ma anche di montaggio, recitazione, ecc?
Quando recitavo a scuola, ero abituato ad occuparmi di più cose e in questo film volevo ritornare a quella modalità di lavoro. Per me fare un film equivale a dipingere un quadro o scrivere un romanzo.

Ciò che è davvero sorprendente è il fatto che i personaggi più “duri”, K e K, sono anche quelli che finiscono per vivere la storia d’amore più poetica…
Volevo creare una storia d’amore molto speciale. Il lato “duro” che li caratterizza entrambi si basa sulla realtà marocchina che conosco, ma è solo di facciata, è dovuto ai loro rispettivi lavori. In realtà sono dei sognatori, come molte persone in Marocco, come gli adolescenti; sognano un amore assoluto, da fiaba. Quando Kamel dice che può amare una donna anche senza conoscerla, lo fa perché in realtà è innamorato dell’amore stesso. Per quanto riguarda Kenza, essendo di natura molto esigente, gli impone tutta una serie di “prove”, ma alla fine si arrende.

Quali sono i suoi punti di riferimento cinematografici?
Devo la dimensione musicale del mio film al fatto che nella mia città natale passavano spesso pellicole di musical prima delle proiezioni in sala. Per il resto, come cineasta non mi rifaccio a nessun regista in particolare, anche se i miei modelli sono Welles, Hitchcock, e Fellini. Credo che, se ci sono dei riferimenti di questo tipo nei miei film, sono totalmente inconsci.


Bénédicte Prot (Cineuropa)


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