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#3 RITRATTO DI UNA GENERAZIONE ALLE GIORNATE DEGLI AUTORI 04/09/2006
Il film Falkenberg Farewell, che secondo uno degli attori ha un tasso di veridicità pari al 42%, vanta una perfetta armonia tra forma e contenuto. Si presenta come un album di ricordi ed infatti, è un insieme di memorie e testimonianze dell'infanzia del regista nel suo piccolo paese natale nel quale sono mescolati video 8mm, fotografie, musiche e immagini digitali, il tutto strutturato da una serie di titoli e da una voce fuori campo che legge un diario.
Il fatto che Jesper Ganslandt non abbia aspettato d’essere "nel mezzo del cammino della sua vita" per raccontare il suo Posto delle fragole è rivelatore. Quest’ultima estate trascorsa insieme da cinque vecchi amici viene considerata come un punto di rottura tra un’infanzia ormai finita ed un futuro incerto, mentre il presente è sospeso davanti al bivio tra il restare (e marcire, come vegetali, come la gente al bar o come i loro genitori, che incontreremo nel film) o l'andare (e fare come tutti gli altri, quelli che partono per raggiungere le grandi città). Queste alternative sono sottolineate dalla composizione binaria del film, in cui i personaggi (così come i cavalli e gli uccelli del film) appaiano a due a due, valutando le possibilità, lamentandosi del quotidiano tanto noioso e assurdo, o passando il tempo inutilmente giocando come "i vecchi tempi", ma senza lo stesso entusiasmo.
Come dice uno dei personaggi, "il Messia dovrebbe arrivare tra due mesi". Allora basta aspettare, e così perpetuare l’ozio, il più lungo possibile, almeno per un' altra estate, questa estate (come dice John ' non sono qui per fare il fottuto pittore’), nonostante l'inquietudine dei genitori, come se una via d’uscita dalla loro "stasi" si dovesse presentare da sola. Loro, chiaramente, "non possono disturbarsi" per cercarla – espressione usata da uno dei ragazzi quando decidono di non prendere niente nella casa nella quale volevano inizialmente compiere un furto, episodio che dimostra come veramente i nostri eroi sono ad un punto morto.
Diversamente da David, il più nostalgico, l’unico che crede che una decisione debba essere presa, Ganslandt non va via col suo diario, la sua pistola, e la sua vita (per riunirsi al suo passato): lui va avanti con quel bel lavoro che gli garantisce un promettente futuro come regista.
Perché un film?
Non ho un background accademico alle spalle, è vero, ma pensavo che un film fosse il miglior mezzo per usare questi materiali differenti— video, musica, etc— per mettere insieme un pezzo d’anima, una collezione di emozioni, giocando a mischiare fiction e realtà. Ora voglio continuare a fare film, e so di volere intraprendere strade nuove, anche se non so ancora bene come sarà il mio prossimo lavoro.
Considera Falkenberg Farewell un ritratto generazionale?
Credo, voglio pensarlo, ma penso anche che tutti, a qualunque età, possano identificarsi con questa storia, perché parla della ricerca di qualcosa— per un motivo, per se stessi.
Il suicidio di David è una scelta che riguarda il passato o il futuro?
Il passato. David vive nel ricordo e non vede futuro per sé, e decide per questo di porre fine alla propria vita, mentre si aspetta che gli amici capiscano e rispettino la sua scelta. Di fatto, nel corso di quell’estate, rivive la sua vita al contrario. Per alcuni degli altri autori, questo suicidio non ha un particolare effetto sulla storia, ma ho scelto di farlo accadere perché ci rimanda alla dura realtà — sapevate che Falkenberg detiene il record di suicidi in Svezia? — e perché è una cosa che interrompe la vita quotidiana.
Bénédicte Prot (Cineuropa)
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Falkenberg Farewell Interview |
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