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#09 MANHATTAN ANNO ZERO
06/09/2005
Man Push Cart è un 'opera che possiede piena padronanza estetica della nozione di alienazione, il tipo di paralisi che James Joyce descriveva in Gente di Dublino, con la differenza che, in questo film, l'epifania arriva solo per frammenti.
Ramin Bahrani ritrae la torturante routine quotidiana di un venditore ambulante pakistano che sembra ormai rassegnato ad essere un escluso socialmente e linguisticamente, lavorando nel buio per gli indaffarati newyorkesi, una reificazione sottolineata dall'ambiguo verbo senza soggetto del titolo. La sua mancanza di speranza è meravigliosamente restituita da fotogrammi claustrofobicamente soffocanti; in questo film, infatti, il cielo è sempre tagliato fuori dall'immagine, tutto quanto resta fuori dal suo carretto (anche la vita stessa), sembra per lo più irreale. Il regista iraniano possiede una sistematica, quando non implacabile, maniera di dividere gli spazi in scatole geometriche che ricordano particolarmente i film di Antonioni —il riferimento a L'eclisse è, in efetti, esplicito.
Bahrani appartiene ovviamente alla categoria di registi che privilegia l'immagine più dei concetti espressi verbalmente. Non lavora su livelli verticali (livelli multipli di significati), ma orizzontali. Il fatto che rimanga abbastanza univoco (però), al meno in termini di plot, è del tutto rilevante, perché ha a che fare con un personaggio la cui esistenza continua a ripetersi in ciclo, come una bobina rotta da 35mm.
La sua cultura è evidente. Quali sono stati i suoi principali riferimenti per questo film?
Il mito di Sisifo, di Albert Camus. In qualche modo, Ahmad continua a trascinare il suo carretto su per la collina, e continua a cadere. Eppure, volevo sottolineare che il mio film non è completamente privo di speranza; c'è comunque del piacere, a volte, nello scalare la collina. Combattere significa anche imparare ad essere contento. Il mio personaggio è intrappolato nel suo carretto, ma penso vada bene, Alla fine dell'Edipo, anche lui dice: "tutto è bene". Niente è bianco o nero nel mio film, anche le persone qui sono di tutti i colori....
In termini di riferimenti cinematografici, ne ho più di quanti possa enumerarne; sono un appassionato cinefilo, sono capace di svegliarmi alle sei del mattino e chiamare Michael per vedere un film insieme. L'abbiamo fatto, in realtà, qualche giorno fa per vedere Pickpockets di Bresson. Essendo iraniano, ovviamente faccio riferimento a Kiarostami. Mi piace in particolare Robert J. Flaherty, il cui film L'uomo di Aran ha vinto il Leone nel 1934 come Miglior Film Straniero alla seconda edizione della Mostra. Naturalmente, amo gli italiani, De Sica, Antonioni, Visconti...
Perché si riferisce a se stesso come regista 'invisibile'?
Per me, essere onesto implica essere il più minimalista possibile, mettere la telecamera nel posto più naturale e evitare di fare troppi tagli (ce ne sono solo 252 in Man Push Cart, mentre un film medio conta dai 1000 ai 2000 tagli). Questa è anche la ragione per cui ho lavorato con attori non professionisti e ho basato la mia storia su eventi realmente accaduti.
Cosa rende il suo film così iraniano nonostante la sua ambientazione?
Se non fossi stato iraniano, non avrei potuto girare questo film. E, se fossi stato newyorkese, non avrei potuto girare questo film. (...) Il poeta persiano Rumi dice: 'Da dove vengo? Perché sono stato portato qui? Dove vado? Alla fine, non mi hai mostrato la mia casa".

Bénédicte Prot
www.cineuropa.org
Nella photogallery, immagini di Michele Lamanna


ramin bahrani        ramin bahrani
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