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#03 FUNNY GAMES
03/09/2005
Il primo film di Gela Babluani, è un film in bianco e nero espressionista, che, come suggerisce il titolo, tratta la sorte come uno dei fattori determinanti nel destino di ciascuno.
Sebastien (George Babluani), giovane immigrato che lavora come carpentiere sul tetto di un palazzo piuttosto particolare, diventa subito non solo il testimone, ma anche il protagonista delle attività del suo proprietario. Dopo la scomparsa improvvisa di quest’ultimo, trova una busta contenente misteriose istruzioni che comincia a seguire, entrando in un meccanismo mortale che svela implacabilmente. Quando realizza di essere soltanto un pegno di un gioco crudele in cui un solo giocatore sopravvive, non c’è più modo di tornare indietro; egli è intrappolato in uno spazio claustrofobico dove gli istinti umani primordiali sono incontrollati, dove l’odore di sangue trasforma gli uomini in animali impazziti e sudati.
Se il gioco illustra il potere che ogni uomo ha sull’altro, il suo risultato finale è completamente arbitrario. Sebastien è una vittima kafkiana il cui sacrificio inutile pone domande metafisiche. E infatti, all’inizio del gioco, qualcuno gli dice ironicamente “prendila con filosofia”, come se questo avesse un senso. In 13 (Tzameti), non ci sono vittime innocenti, l’osservatore è colpevole come il vero omicida, e il confine fra comportamento attivo e passivo è sfocato. Il film di Babluani è la variazione estetica di un tema universale (che spiega perché il film non abbia una ambientazione specifica, ma accada in una “terra di nessuno”), la totale assurdità della vita.

Perché ha scelto di girare il film in bianco e nero?
Nella mia testa, ho sempre visto questa storia in bianco e nero. Ero molto influenzato dalle mie esperienze iniziali in campo cinematografico. I primi film che ho visto erano sovietici, la maggior parte dei quali in bianco e nero, con lunghe riprese mute, nello stile di Eisenstein. Quando ero piccolo, mio padre (il regista georgiano Temur Babluani), mi portava in sala di montaggio. Mi sedevo e guardavo le immagini mute, così eloquenti che mi facevano sentire che non c’era il bisogno di dialoghi. L’estetica del mio film traduce questo.
La prima scena è enigmatica, e potrebbe benissimo venire utilizzata come chiusura della storia.
Ho creato volontariamente questa sorta di ripetizione. Ha a che fare con le motivazioni ad entrare nel gioco del personaggio; a parte la curiosità egli ha una ragione “sociale” per seguire le enigmatiche istruzioni nella busta. La sua famiglia è povera, e lui stesso si sacrifica molto per dare loro più denaro.
Da cosa è influenzato, a parte il cinema russo?
Adoro i registi italiani, specialmente Fellini. Nel mio film, durante il “gioco”, ho cercato di utilizzare lo stesso tipo di riprese lunghe; credo sia l’unico modo per ottenere un’atmosfera così tesa e disturbante. È anche molto comodo per gli attori, per trovare i quali c’è voluto del tempo (circa cinque mesi), avevo bisogno di volti espressivi, il genere di facce che puoi filmare per ore continuando a trovarle interessanti.

Bénédicte Prot
www.cineuropa.org
Nella photogallery, immagini di Michele Lamanna


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