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UNA COMMEDIA NON ANCORA MATURA
04/09/2011
Organizzato dall’associazione dei Cento Autori, l’incontro “Immaturi? La nuova commedia tra incassi e ripetitività” ha visto la partecipazione di quattro ospiti d’eccezione: Marco Belardi (produttore di Immaturi), Gian Battista Avellino (regista dei film dei comici Ficarra e Picone), Marco Martani (regista di Cemento armato) e Francesco Bruni (sceneggiatore dei film di Paolo Virzì), moderati dal regista e sceneggiatore Gianfranco Giagni e dal giornalista Fabio Ferzetti.

Protagonisti di questo nuovo filone italiano, che include film recenti come Maschi contro femmine, Notte prima degli esami e Cado dalle nubi, i quattro ospiti hanno esaminato il fenomeno partendo da un dato positivo e inconfutabile: gli incassi a dir poco lusinghieri registrati da film come Che bella giornata (oltre 40 milioni di euro) e Qualunquemente (quasi 20 milioni). «La storia del cinema» puntualizza Ferzetti «è fatta di commedie popolari». Perciò, nessuno stupore dinanzi a questi favolosi risultati. Qualcosa, però, sta cambiando rispetto agli ultimi anni: «C’è un ricambio» afferma Marco Belardi «da parte di commedie che hanno una qualità superiore rispetto ai cinepanettoni. Il pubblico vuole qualcosa di più».

Nello specifico, sembra che gli spettatori italiani stiano abbracciando la nuova commedia sia perché stanchi del modulo trito e ritrito dei film dei Vanzina & co., fino a poco tempo fa in una posizione di monopolio, sia perché annoiati da opere ciniche o cariche di pessimismo; «il problema» dice Gian Battista Avellino «non sono tanto i temi d’attualità, ma il modo in cui li si mette in scena. La commedia li stempera, li alleggerisce».

Un po’ ciò che avviene nei film di Paolo Virzì, che ride amaramente di problematiche dalla forte attualità. Quelle stesse problematiche, dice Bruni, che tuttavia «mancano in molti film del neonato filone di commedie», non a caso tacciate di eccessiva spensieratezza. Una lievità evidentemente necessaria in questo periodo storico fin troppo grave, nonché il motivo per cui, interrogato sulla possibilità di fare film diversi dai suoi ultimi lavori, Belardi risponde: «Ho già da parte nuovi progetti, ma non so quanto tempo ci vorrà; bisogna aspettare l’inizio di un altro genere. Per ora, c’è bisogno di ridere».

Ma questo genere, fino a che punto resisterà? E quali sono i suoi limiti? «L’unico star system presente in questo nuovo panorama» dice Avellino «è quello dei comici, la cui presenza garantisce successo al botteghino. Questi comici hanno praticamente tutti una derivazione televisiva». Ne consegue, come afferma Martani, che spesso «scrivere un film per dei comici risulta molto più faticoso del normale, perché sono ingabbiati in alcune categorie cui il pubblico si è affezionato».

Lo stesso genere della commedia, viene fatto notare ai relatori da un intervento del pubblico, rischia di cristallizzarsi bloccando una situazione già di per sé stantia, aggravata da una certa carenza di creatività nello scrivere soggetti e dalle restrizioni imposte da produzione e esercizio. È un’arma a doppio taglio, dunque, la nuova commedia italiana; se da una parte, come quarant’anni fa, ha portato i titoli nostrani a realizzare il 65% degli incassi di sala, dall’altra rischia di fossilizzare l’offerta cinematografica su pochi titoli molto simili tra loro.

La soluzione per evitare questi problemi? Cambiare genere? Scherzosamente Belardi dice che «se c’è un genere che potrebbe raccontare bene l’Italia di oggi, è l’horror». Senza voler essere pessimisti, potrebbe essere proprio la commedia il format giusto per rapportarsi alle difficoltà del momento; a patto che essa sia lontana anni luce dalla volgarità di certi film caciaroni e a sufficiente distanza dal disimpegno politico/sociale o dall’eccessiva retorica di altri. Una commedia, insomma, che ancora non s’è manifestata del tutto ma di cui si intravedono già promettenti avvisaglie.
(Francesco Bonerba)