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ANDREA CACCIA, ELABORAZIONE DI UN LUTTO IN TRE ATTI
11/09/2010
"Per me fare cinema significa operare una riflessione continua sulla mia vita che poi, con il meccanismo specchiante del cinema, pone delle domande agli spettatori, che a loro volta intraprendono una riflessione". Il documentario di Andrea Caccia dal titolo La vita al tempo della morte è davvero una riflessione, articolata, sottile e densamente emotiva, sull'avvicinamento alla fine. Ma anche una intensa elaborazione del lutto per il regista che, mentre girava il primo dei tre atti del film, ha perso il padre a causa di un cancro e si è trovato obbligato a un confronto diretto con l'arrivo del "momento".
Le immagini del primo atto, completamente mute, mostrano luci, animali, gocce, dettagli di un paesaggio naturale altamente evocativo del tempo che scorre e della vita che combatte con la morte, con le figure umane che attraversano l'inquadratura soltanto alla fine, quando alcuni ragazzi provano la vertigine di un tuffo da 15 metri nei laghi della Lavagnina.
"Ho conosciuto quel posto cinque anni fa - ha detto il regista - e mi è venuto in mente di registrare la vertigine del lancio del vuoto e della loro vitalità. Mentre giravo ho capito che quel luogo racconta di più senza la presenza dell'uomo, e che si sarebbe sposato perfettamente con i due atti successivi sulla morte".
Nella seconda parte, a scorrere sullo schermo ci sono invece tante parole, che accompagnano i volti di undici persone che attendono la morte negli hospice degli istituti per la cura dei tumori di Milano e di Novara. Uomini, donne e ragazzi che svelano paure, malinconie o anche serenità di fronte all'ineluttabilità della fine.
"Quando ho vissuto questa esperienza in prima persona mi è mancata la parola e ho pensato alle tante cose che avrei voluto dire a mio padre senza riuscirci. Così mi sono aperto all'esterno e ho dato la parola a persone sconosciute che affrontavano quel momento. In alcuni casi, purtroppo, non sono riuscite ad arrivare alle riprese".
Infine il terzo atto, quello in cui Andrea Caccia si mette davanti alla macchina da presa e apre insieme al fratello Massimo la scatola dei ricordi, che altro non è che il garage-bazar in cui il padre aveva stratificato gli oggetti accumulati in una vita: "A quel punto sono arrivato al collo dell'imbuto: ho messo in campo la mia esperienza personale. Mi è bastato trovare la scatola degli attrezzi di mio padre, che faceva l'imbianchino, per rivederlo".
Una sorta di balletto attraverso pezzi di vita da ritrovare e catalogare, che si conclude con un vero "balletto" in cui il regista, suo figlio e suo fratello salutano lo spettatore e l'idea che la vita continua.
Prodotto da Andrea Caccia e Roadmovie, La vita al tempo della morte ha beneficiato del sostegno del Piemonte Doc Film Fund - Fondo regionale per il documentario della Film Commission Torino Piemonte e sarà presentato nelle prossime settimane nelle rassegne Venezia a Roma, Salina, Annecy e Filmmaker.
Michela Greco – Cinecittà News