NEWS

regista


film
PHOTOGALLERY
REGISTI
FILM
PROGRAMMA
PRESENTAZIONE
REGOLAMENTO
PARTNERS
CONTATTI
EDIZIONE IN CORSO
MATTEO BOTRUGNO E DANIELE COLUCCINI: NELLA SOLITUDINE DELLA BORGATA
10/09/2010
Tra gli italiani della selezione dei Venice Days, insieme ad Antonio Capuano e Giovanni Davide Maderna e Sara Pozzoli, ci sono anche Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, due registi under 30 che hanno realizzato la loro opera d'esordio con soli 30mila euro, 17 giorni di riprese in un unico ambiente e una troupe di attori professionisti ma sconosciuti (anch'essi, tra l'altro, tutti giovanissimi). Una sfida importante e inconsueta per il cinema italiano, con un'opera, Et in terra pax, che con un linguaggio crudo e un'estetica raffinata racconta la desolazione e la solitudine della borgata. Non solo quella romana, o del Corviale, dove è interamente ambientato il film. Prodotto da KimeraFilm e SettembriniFilm e arrivata alla prestigiosa selezione veneziana dopo tante porte chiuse in faccia.

Dove nasce lo spunto per la storia, anzi le storie, raccontate in Et in terra pax?
Ci siamo ispirati a dei fatti di cronaca per il soggetto, ma non era nostra intenzione parlare di degrado o fare riflessioni sociali. Piuttosto ci interessava indagare i rapporti di causa - effetto tra un ambiente e la psicologia dei personaggi, tentare di capire cosa porta le persone a certi atti di violenza. Tant'è vero che Et in terra pax ha un inizio dall'atmosfera estiva, ma poi cresce fino a raggiungere un vortice senza fine di violenza. Il riferimento alla cronaca è universale, sono storie possibili in qualsiasi periferia.

Al centro di tutto c'è il Corviale, il celeberrimo quartiere della periferia romana che ospita un palazzone lungo un chilometro...
Corviale è un luogo universale, un posto non più pericoloso di tanti altri e uno sfondo perfetto per la nostra storia, che si svolge tutta dentro il famoso Serpentone, un palazzone in cui vivono 10mila persone, sperduto su una collina raggiungibile con un'unica strada. Il nostro protagonista, Marco, è una persona sola che aspetta ciò che verrà e rappresenta la solitudine della borgata.

In molti hanno già definito il vostro film "pasoliniano"...
È un grande onore per noi essere stati accostati a Pasolini, che amiamo non solo dal punto di vista cinematografico ma anche letterario. Siamo affascinati dal mondo di borgata che lui ha raccontato, e dalla sensibilità con cui l'ha fatto, riuscendo a dipingere la realtà senza fronzoli e a dare voce a una maggioranza di persone di cui non si parla mai. Anche la scelta della musica classica è un riferimento a Pasolini: il titolo del film è quello di un movimento di un'opera sacra di Vivaldi. Come Pasolini abbiamo provato a mettere in scena una sacralità profana.

Come avete scelto gli interpreti del film?
Gli attori sono tutti professionisti, anche se non conosciuti, che lavorano tra teatro, doppiaggio, fiction televisive. Siamo molto soddisfatti della nostra scelta degli interpreti, con cui abbiamo lavorato "al contrario", chiedendo loro di tirare fuori la parte più sporca del dialetto romano. Hanno lavorato in compartecipazione: ognuno di loro ha "una quota" del film.

Quanto è stato difficile montare la produzione e poi realizzare il film per due registi così giovani alla loro opera prima?
La lavorazione è stata a dir poco avventurosa, il fattore economico garantito da KimeraFilme SettembriniFilm - è stato determinante e tutti quelli che ci hanno lavorato hanno dato l'impossibile. Ma ci siamo anche trovati di fronte a produttori o professori che, quando gli presentavamo il progetto, ci ridevano in faccia. Girare Et in terra pax è stata comunque l'avventura più bella che ci potesse capitare nella vita, e portarlo a Venezia è decisamente la nostra più grande occasione. Oltretutto abbiamo sempre partecipato alla Mostra come giornalisti, seguendo con particolare entusiasmo le Giornate degli Autori. Ora ci troviamo dall'altra parte: un sogno che si realizza, e che speriamo ci porti a fare un altro film.

Quindi siete già pronti per un'opera seconda?
Ora stiamo scrivendo una sceneggiatura dal libro Il contagio di Walter Siti insieme a Nuccio Siano, il regista dello spettacolo teatrale tratto dal romanzo, ma in questo caso siamo solo sceneggiatori. Mentre come registi avremmo abbastanza idee per fare film per i prossimi 10 anni.

Vedremo Et in terra pax in sala?
Ci sono degli interessamenti per la distribuzione, ma onestamente confidiamo soprattutto nel mercato estero, che forse può capire meglio e apprezzare di più un'opera in un certo senso autoriale ma che siamo convinti sia accessibile a tutti. Ci sembra che qui in Italia non credano che il film possa avere un appeal commerciale.
Michela Greco – Cinecittà News